Dall’ autismo di Kanner ai criteri diagnostici di autismo di DSM III e DSM IV: la storia delle definizioni passate di autismo.

I criteri diagnostici di autismo hanno subito enormi cambiamenti negli ultimi decenni! Dalla prima versione di autismo di Kanner fino ai modelli multiassiali delle definizioni e i criteri diagnostici di autismo in DSM III e DSM IV: oggi ne ripercorriamo insieme la storia.

In questo articolo descriveremo l’evoluzione del concetto di autismo dai primi dati osservativi clinici degli anni 40’ fino ai criteri diagnostici di autismo dei vecchi DSM.

Prenderemo in esame le diverse concezioni metodologiche e teoriche che hanno accompagnato lo sviluppo di tale diagnosi, andando a sottolineare gli avanzamenti e i punti deboli che hanno caratterizzato lo sviluppo del concetto di autismo.

Nei successivi contenuti di approfondimento delineeremo l’inquadramento attuale di questa condizione e i corrispettivi passi in avanti che è necessario compiere per averne una concezione più completa ed efficace.

Kanner Autismo

DALL’AUTISMO DI KANNER AI CRITERI DIAGNOSTICI DEI VECCHI DSM: IL PRIMO AUTISMO DI KANNER

L’autismo, o ciò che oggi viene definito come “disturbo dello spettro autistico”, è una concezione relativamente recente e tuttora in via di sviluppo.

Pioniere di tali studi fu Leo Kanner che nel 1943 pubblica “Disturbi autistici del contatto affettivo”, articolo in cui l’autore tenta di fornire una prima descrizione della condizione che partiva dall’osservazione di 11 bambini.

L’ipotesi di Kanner è che tali bambini fossero nati senza la predisposizione ad essere sociali e che avessero problemi a fronteggiare i cambiamenti nelle loro routine quotidiane.

Questo tipo di problematica è stata da lui definita in quella fase storica come “resistenza al cambiamento” o “perseveranza alla ripetizione”.

Kanner, nel “primo autismo” da lui osservato, non riconosce i problemi di comunicazione come caratteristica essenziale dell’autismo ma rileva come centrali caratteristiche quali:

  • Ecolalia;
  • Idiosincrasie;
  • Interpretazione del linguaggio estremamente letterale;
  • Difficoltà con l’uso dei pronomi.

L’autore ha ipotizzato inoltre che l’autismo fosse un disturbo riguardante prevalentemente famiglie benestanti e con adeguata educazione in quanto alcuni soggetti da lui osservati presentavano abilità intellettive nella norma (abilità in contrasto con le marcate compromissioni funzionali in ambito sociale e di autonomie).

Per Kanner le abilità intellettive erano preservate grazie a stimoli ed educazione adeguati legati all’elevato contesto socioeconomico: vedeva, sbagliando, quelle abilità preservate come legate al contesto e non come intrinseche alla condizione.

Nella descrizione fornita da Kanner, infatti, i soggetti presentavano performance nella norma in alcune componenti dei test d’intelligenza somministrati quali:

  • Componenti non verbali;
  • Abilità mnestiche.

In questa prima fase queste rilevazioni hanno portato in errore Leo Kanner che ha messo in relazione l’autismo con educazione e apprendimento.

La concezione che un’educazione anomala o deviante da parte dei genitori potesse giocare un ruolo nella patogenesi porta ad un’iniziale confusione nei termini e nelle concettualizzazioni a partire dal primo autismo di Kanner.

Successivamente si è evidenziato come la marcata eterogeneità nello sviluppo delle abilità cognitive fosse caratteristica dell’autismo il quale, essendo un problema del neurosviluppo a forte componente genetica, è presente in qualsiasi livello socioeconomico.

DALL’AUTISMO DI KANNER AI CRITERI DIAGNOSTICI DEI VECCHI DSM: DALL’ AUTISMO DI KANNER AL DSM III

Dal resoconto osservativo di Leo Kanner in poi, una delle principali evoluzioni del concetto di autismo si è focalizzata su un possibile ruolo di un quadro di psicopatologia dei genitori come causa dell’autismo.

Tale approccio deriva dal forte interesse nella psico-analisi e dalla visione dell’esperienza e dell’ambiente come principale fattore causale dell’autismo.

Nei 20 anni successivi al lavoro di Kanner, si afferma anche una visione dell’autismo come una delle più precoci manifestazioni di psicosi o schizofrenia infantile.

Verso gli inizi degli anni ’60 nuovi approcci per la comprensione del disturbo iniziano ad emergere.

Bernard Rimland (1964) utilizza una metodologia focalizzata su osservazioni oggettive e prende in considerazione un ipotetico meccanismo neurobiologico per l’insorgenza della sindrome.

Successivamente Kolvin e Rutter (1972), tramite studi di fenomenologia clinica, chiariscono come la schizofrenia sia qualitativamente differente dall’autismo in termini di esordio, caratteristiche cliniche e storia familiare.

Le evidenze su cui si basano sono decorso differente ed elevato rischio di sviluppare convulsioni, dati che suggeriscono un’eziologia di tipo neurologico.

Verso la fine degli anni ’70 studi su gemelli suggeriscono la presenza di una forte componente genetica alla base dell’autismo.

Inoltre, ricerche effettuate sull’efficacia dei trattamenti indicano l’importanza di un trattamento strutturato e orientato sul comportamento tramite metodologie proprie della psicologia comportamentale.

Ciò rappresentava una cesura dal punto di vista metodologico rispetto alle psicoterapie non strutturate ispirate dalle precedenti concezioni teoriche sull’autismo, dall’autismo di Kanner in avanti.

Da qui la concezione di autismo come affine alla schizofrenia viene abbandonata.

In seguito a tali scoperte, vi è un tentativo di aggiornare la definizione di autismo di Kanner.

Nel modello diagnostico di Rutter le difficoltà dovevano avere un esordio precoce e comprendere:

  • Marcate difficoltà sociali,
  • Difficoltà o assenza di linguaggio,
  • Comportamenti insoliti e rigidità (definiti da Leo Kanner come “resistenza al cambiamento” / “perseveranza alla ripetizione”).

Successivamente, la National Society for Autistic Children mette in evidenza altri aspetti tipici della condizione quali:

  • Ritmi o sequenze inusuali nello sviluppo
  • Iper/ipo sensibilità all’ambiente.

In quegli anni inoltre, con il DSM III, emerge l’uso di approcci multi-assiali nella diagnosi che permettono di descrivere una condizione clinica con maggiori specificazioni dei livelli e delle aree di funzionamento.

Tale approccio diagnostico permette di definire meglio le eterogeneità di caratteristiche emerse nelle varie concezioni di autismo sopra citate.

Tali avanzamenti metodologici in ambito di diagnosi portano ad un ampliamento della classificazione di autismo all’interno della psichiatria infantile che porta al riconoscimento ufficiale nel 1980 della diagnosi di “Autismo infantile” all’interno del DSM III.

Per enfatizzare le peculiarità di questa condizione clinica fu aggiunta una nuova categoria nel DSM: i disturbi pervasivi dello sviluppo.

DALL’AUTISMO DI KANNER AI CRITERI DIAGNOSTICI DEI VECCHI DSM: I PROBLEMI DELLA DEFINIZIONE DI AUTISMO NEL DSM III

Nella definizione e nei criteri diagnostici di autismo del DSM III non mancano tuttavia alcuni aspetti problematici.

Viene infatti compresa nella categoria una tipologia di autismo definito “residuo” che includeva i soggetti che, per effetto di sviluppo o apprendimento, non presentavano più alcuni criteri diagnostici rilevati in precedenza.

In estrema sintesi, per la definizione di allora, se il bambino tramite educazione, apprendimento o riabilitazione, perdeva alcuni sintomi o deficit, la diagnosi non era più autismo infantile ma autismo residuo.

La categoria “autismo residuo” mostra come non si sia riusciti a riconoscere la persistenza delle difficoltà nel corso dello sviluppo del bambino (aspetto che si ripercuote tuttora quando un soggetto autistico raggiunge l’età adulta e si usa l’ICD10 come riferimento diagnostico).

Tale mancanza è dovuta principalmente ad un’inadeguata osservazione clinica dei cambiamenti nel corso del tempo e ad una mancanza di flessibilità del modello diagnostico di base (era infatti necessario il riscontro di ogni criterio per l’attribuzione della diagnosi).

DALL’AUTISMO DI KANNER AI CRITERI DIAGNOSTICI DEI VECCHI DSM: DAL DSM III AI CRITERI DIAGNOSTICI DSM III-R DELL’AUTISMO

Attraverso la revisione del DSM III (DSM III-R), vi è una modifica della definizione di autismo con il nome del disturbo che cambia da autismo infantile a Disturbo autistico.

Vengono dunque forniti 16 criteri raggruppati in 3 principali domini di disfunzione:

  • Deficit qualitativo nelle relazioni sociali,
  • Deficit qualitativo nella comunicazione;
  • Ristrette aree di interesse.

Per la diagnosi è necessario il riscontro di 8 o più criteri, almeno due nella categoria sociale e uno ciascuno per le altre due categorie.

Tali modifiche nei criteri diagnostici dell’autismo portano ad una maggiore attenzione all’evoluzione delle abilità cognitive e funzionali nel corso dello sviluppo.

Tale cambiamento di approccio porta contemporaneamente ad aspetti negativi come:

  • l’incremento di falsi positivi;
  • la reificazione di alcuni comportamenti dovuta all’inclusione di essi all’interno del criterio diagnostico;
  • una crescente divergenza nell’approccio al disturbo rispetto all’ICD 10 (Classificazione Internazionale delle Malattie e dei Problemi Correlati).

Riguardo quest’ultimo aspetto, l’ICD 10, oltre che a differenziare in due manuali i le informazioni per scopi clinici e quelle per la ricerca (mentre nel DSM III-R vengono raggruppati in un unico testo), offre criteri diagnostici più dettagliati e numerosi.

Per questo motivo, nell’interpretazione degli studi di ricerca nei diversi Paesi si riscontrano difficoltà dovute al differente approccio alla diagnosi tra i due volumi, avendo nel DSM III-R una visione più orientata allo sviluppo rispetto all’ICD.

DALL’AUTISMO DI KANNER AI CRITERI DIAGNOSTICI DEI VECCHI DSM: DAL DSM III-R AI CRITERI DIAGNOSTICI DEL DSM IV DELL’AUTISMO

Con l’introduzione del DSM IV nel 1994 si tenta di bilanciare la sensibilità e la specificità dell’approccio diagnostico mantenendo una definizione flessibile e orientata allo sviluppo della condizione nel tempo.

Per affrontare questa problematica vengono istituiti dei gruppi di lavoro a livello internazionale che vanno a svolgere un’analisi dei vari modelli diagnostici.

Tali gruppi utilizzano un sistema standardizzato di codifica dei criteri per la diagnosi di autismo e per i disturbi correlati ad esso, confrontando i vecchi manuali diagnostici (DSM III, DSM III-R) con le nuove versioni (DSM IV, ICD 10).

I risultati di tale lavoro suggeriscono che il DSM III-R differisce significativamente dal DSM III e dall’ICD 10; da tali criteri inoltre risultano percentuali elevate di falsi positivi (più frequentemente in caso di presenza di disabilità intellettiva).

Gli indici di affidabilità e coerenza interna vengono misurati attraverso analisi fattoriale, la quale identifica una struttura bi-fattoriale (comunicazione sociale e restrizione di interessi) e una penta-fattoriale (in cui i criteri per la restrizione di interessi sono suddivisi in tre gruppi).

Vengono valutati anche problemi di stabilità, sensibilità e specificità diagnostica riguardanti età e QI.

Questo processo di analisi, correzione e ridefinizione dei criteri permette di arrivare alla stesura di una versione finale del DSM IV che risulta solida e presenta un buon bilanciamento tra utilità clinica e di ricerca.

DALL’AUTISMO DI KANNER AI CRITERI DIAGNOSTICI DEI VECCHI DSM: DISTURBI GENERALIZZATI DELLO SVILUPPO (PDD) NON AUTISTICI NEL DSM IV

Nel 1944 Hans Asperger, non essendo a conoscenza del lavoro di Leo Kanner a causa del clima politico dell’epoca, utilizza il termine “autismo” per descrivere la condizione di un gruppo di soggetti in cui riscontra marcata compromissione sociale e motoria ma con apparenti buone capacità verbali.

Nel suo resoconto menziona altre caratteristiche che differiscono dalla descrizione di autismo di Kanner quali: precocità verbale, incoordinazione motoria e una storia educativa e familiare positiva.

La mancanza di una definizione per la sindrome di Asperger e l’utilizzo di una pletora di termini per descrivere individui abili a livello verbale ma con compromissione a livello sociale complica gli studi di ricerca (alcune caratteristiche riportate di questo quadro erano: difficoltà d’apprendimento, disturbo della pragmatica del linguaggio, disturbo dell’ apprendimento non verbale-visuospaziale).

Da qui vi è una decisione provvisoria di includere la sindrome di Asperger all’interno dell’ICD 10 tramite raccolta dati in modo da fornire supporto alla definizione di autismo del DSM IV.

Attraverso una serie di studi si evince come la sindrome di Asperger differisca in molti aspetti da casi di autismo con simili abilità cognitive e dai PDD-NOS (Disturbo Generalizzato dello Sviluppo non altrimenti specificato).

All’interno dei Disturbi Generalizzati dello Sviluppo (PDD) nel DSM IV, oltre alla sindrome di Asperger, vengono inseriti altri due disturbi: la sindrome di Heller e la sindrome di Rett.

La sindrome di Heller (o Disturbo Disintegrativo dell’infanzia) è caratterizzata da uno sviluppo normale nel bambino fino ai 3-4 anni, età in cui si nota una marcata perdita generale di abilità e l’insorgenza di alcuni sintomi simili all’autismo.

Il disturbo di Rett, invece, non viene riconosciuto come forma d’autismo ma incluso all’interno della classe dei PDD (per tale disturbo è stata successivamente trovata una specifica eziologia genetica: la mutazione gene MECP 2).

Come il DSM III e il DSM III-R, il DSM IV include una serie di condizioni sotto-soglia per i casi indicativi di autismo ma che non soddisfano pienamente i criteri diagnostici, ai quali è stata dedicata la categoria PDD-NOS (Disturbo Generalizzato dello Sviluppo non altrimenti specificato).

Tale decisione viene effettuata per garantire l’accesso ai servizi agli individui risultanti in questa categoria e per ampliare la ricerca sul disturbo dello spettro autistico grazie ad un più ampio bacino di manifestazioni fenotipiche, dovute alla vasta eterogeneità diagnostica implicata dall’indeterminazione nella definizione della categoria PDD-NOS.

L’autismo del DSM IV comprendeva quindi i seguenti profili:

  • Disturbo autistico;
  • Disturbo di Asperger;
  • Disturbo disintegrativo della fanciullezza;
  • Disturbo di Rett;
  • Disturbo generalizzato dello sviluppo non altrimenti specificato.

DALL’AUTISMO DI KANNER AI CRITERI DIAGNOSTICI DEI VECCHI DSM: CONCLUSIONE

Abbiamo ripercorso la storia dell’autismo dalla sindrome di Leo Kanner ai criteri diagnostici dei vecchi DSM fino al DSM IV.

Nei prossimi articoli approfondiremo la definizione di autismo a “spettro” del DSM 5 che descrive le caratteristiche dello spettro come lungo un continuum.

Articolo steso e redatto da

Dott. Alberto Cocco

RESPONSABILE SERVIZI DIVISIONE AUTISMO CASTELMONTE

Dott. Federico Orso

LAUREANDO IN PSICOLOGIA COGNITIVA APPLICATA

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